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MURO LUCANO (LA STORIA)

Si trova (mt. 600 ab. 6.000 circa) in singolare posizione sul ripido pendio di uno sperone roccioso, con le cave a gradinata. Domina dall’alto l’ampia mole del castello, affacciata sull’orlo dello sperone che precipita a picco in una stretta torre, valicata da un ardito ponte. Il nome del paese pare derivi dalla muraglia di cui sono visibili i resti presso il castello. Si vuole che non lontano, in contrada Raia S. Basile, sorgesse l’antico Numistro, teatro di uno scontro fra Annibale e Marcello nel 210 a.C.
Ivi si trovano resti di mura megalitiche o poligonali e ruderi di un monastero basiliano; più in alto, in c.da Caselle, nel 1977 sono venuti alla luce resti di un edificio sacro della tarda età repubblicana ed in contrada Torrano le tracce di un abitato romano del sec II a.C.
Centro della cittadina è via Roma, dove vi trova la Sede municipale, dalla quale si arriva alla piazza donMinzoni, ove sorge il monumento ai Caduti in bronzo, di Saverio Gatto (1923). Seguendo via Trinità, piazza Matteotti e via Castello, si giunge al Castello, le cui origini pare risalgano ad epoca anteriore ai Normanni, ampiamente danneggiato e ristrutturato anche in tempi recenti e in cui solo un torrione e alcuni tratti di cortile testimoniano la presenza della fortezza medievale. In esso fu uccisa, per ordine di Carlo III di Durazzo, la Regina Giovanna I d’Angiò (1382). Girando a sinistra, si rasenta un pauroso burrone aperto tra ripide pareti calcaree e si arriva in piazza mons. Raffaele Capone, con a destra il monumento di San Gerardo Maiella, opera di Vincenzo Catullo (1905).

Cenni storici
Muro Lucaro, sorta intorno al sec. IX, si trova in un territorio in cui era stanziata l’antichissima popolazione degli Erotri (secc. VII-VI), successivamente invaso dai Numistrani (secc. VI-V), uno dei gruppi dei Lucani (di origine oscosabellica).
Ormai è quasi certo che il primo centro abitato fosse presso la Raia S. Basile (a Km. 6 dall’attuale città), un antico municipio romano, Numistro.
Dopo la caduta dell’impero romano, a seguito delle invasioni barbariche, gli abitanti cercarono rifugio in una zona (l’attuale Flanella) scelta sulla collina più alta, inaccessibile sia per la topografia sia per un alto muro di cinta.
La storia medievale della città rientra in quella più ampia riguardante tutta l’Italia meridionale.
Significativa è la dominazione longobarda, che va dalla fine del Sec. VI all’XI.
Con i Normanni Muro diviene feudo del principato di Salerno e poi parte del regno (secc. XI - XIII); con gli Angioini è assegnata al nobile francese Pietro Hugoth; tra i secoli XIV e XVI rimane in possesso degli Angioini e degli Aragonesi. Come testimonianza di questa fase della sua storia si erge il Castello, la cui costruzione può farsi risalire intorno al sec. X, modificato nel corso dei secoli, soprattutto dopo il terremoto del 1884 e gli interventi effettuati dal proprietario nel 1830.
il Castello è famoso essenzialmente perché in esso, nel 1382, fu uccisa da sicari Giovanna I, regina di Napoli, su mandato dal nipote Carlo di Durazzo.
Della stessa epoca dalla costruzione del Castello è quella dalla Cattedrale, modificata anch’essa nel corso dei secoli, come nel fase da mons. Rossi, nel 1728 da mons. Manfredi e nel 1888 da mons. Capone. L’edificio è andato quasi interamente distrutto durante il terremoto del 1980.
La sede vescovile, istituita nel 1050. è stata soppressa nel 1986, quando, cioè, la diocesi è stata aggregata a quella di Potenza e Marsico Nuovo.
Il possesso della città da parte degli Aragonesi cessa, quando Ferdinando la vende al conte Mazzeo Ferilli, che la lascia in eredità alla nipote Beatrioe, andata nel 1530 in sposa a Ferdinando Orsini, duca di Gravina, la cui famiglia domina fino al 1806.
Sia sotto la dominazione spagnola, sia durante il regno borbonico, ma sempre come feudo degli Orsini, Muro non vive alcun avvenimento di rilievo, mentre è colpita da altri terremoti, tra cui quello grave del 1694.
Con la rivoluzione dal 1799 tutte la popolazione, capeggiata da “galantuomini” e sacerdoti, si trova concorde e proclama la municipalità repubblicana.
La conseguente repressione dei Borboni è efferata come lo è dopo i moti del 1820 e del 1848, organizzati sempre da esponenti della borghesia terriera ed intellettuale, che ormai potenziatasi sul piano economico, può anche stroncare le rivolte di popolani e contadini, che pur si hanno in questo periodo, tendenti ad impossessarsi dei terreni demaniali usurpati.
Contro tale egemonia si contrappone anche il veto degli artigiani, alcuni dei quali costituiscono nel 1859 la Società dei trenta, con sede a San Marco, per cui gli stessi -galantuomi- si organizzano in una corrente politica, che trova il suo centro in piazza Capomuro, riuscendo non solo e conseguire la maggioranza nelle elezioni comunali, ma anche ad eleggere deputato del primo Parlamento Italiano Pasquale Magaldi, nonostante la candidaturna del concittadino Francesco Marolda-Petilli, che poi sarà deputato e leader cittadino dal 1871 al 1882.
Primo sindaco dopo l’Unità è Salvatore Mennonna, il quale deve affrontare soprattutto il fenomeno del brigantaggio, che, già presente egli inizi dal secolo, raggiunge la fese più significativa quando si organizza intorno al giovane Francesco Nebbioso, detto Ciaglione.
L’attività amministrativa dopo i primi contrasti fra le due correnti, fino alla vigilia della prima guerre mondiale si sviluppa intorno a competizioni di natura personalistica e familiare: il confronto si svolge, pur con diversità ed intrecci di interessi e simpatia, tra le famiglie Pistolese-Lordi e quelle Farenga-Martuscelli-Tirico, la cui egemonia dipende anche dell’atteggiamento dei deputati del collegio che si susseguono: Pasquale Magaldi, Francesco Marolda-Petilli, Giustino Fortunato, Pasquale Grippo, Francesco Saverio Nitti.
Tra le prime famiglie si annoverano i sindaci Alfonso Pistolese, Vincenzo Lordi, che si qualifica per interventi nel campo dell'istruzione (esao. ginnasio-liceo con annesso convitto) e viario (es. la strada Muro-scalo ferroviario) Gerardo Lordi e il lungo sindacato di Luigi Pistolese; tra le seconde i sindaci Vincenzo Farenga, Gerardo Tirico e Arturo Martuscelli.
La vita socio-economica non presenta particolari peculiarità, se non da una parte la nascita nell’ultimo ventennio del sec. XIX di ben tre istituti bancani: la Banca di Credito e Lavoro, diretta da uno della famiglia Pistolese: il Pio Istituto di Prestiti e Risparmi, annesso alla Congrega di carità; e la Banca Popolare Cooperativa, costituita dalla Società operaia; dall’altra un’intensa emigrazione, che annovera intorno agli inizi del secolo XX già 2.800 unità.
All’inerzia parassitaria della borghesia terriera corrispondono una mancanza di intraprendenza nel settore artigianale ed una conduzione tradizionale dalla stessa agricoltura; mentre nel campo culturale non vi è alcun impulso, ad accezione della presenza di una banda musicale, esistente già intorno al 1865 e vissuta con alterne vivande.
Le opere più significative, che ancora oggi permangono, si attuano durante il sindacato di Luigi Pistolese (1908-1920), sostenuto e favorito da Nitti: il lago artificiale, il serbatoio d’acque sulla Raia per la condotta proveniente dall’Acquaoiva, il ponte di collegamento con Capodigiano, l’illuminazione elettrica, la costruzione e sistemazione di piazze e strade cittadine.
Questo è anche il periodo in cui, sotto l’impulso pastorale di mons. Giuseppe Scarlata, che istituisce anche una Cassa rurale, e l’attività svolta da alcuni sacerdoti, primo fra tutti Giuseppe Catalano. Con i suoi collaboratori, i cattolici si organizzano, costituendo, pur con notevole ritardo, i primi circoli di Azione Cattolica, in cui si formerà una generazione, che si affermerà nei diversi campi, non ultimi il religioso con due vescovi (Pasquale Quaremba e Antonio Rosario Mennonna) e militare (Getando Zaccardo, generale e pluridecorato, e Gerardo Mennonna, direttore generale della Sanità, il quale con la sua esperienza di presidente della Fuci napoletana e di vicepresidente nazionale dalla stessa, diventerà negli anni ‘30 il punto di riferimento di molti altri studenti, quali Vito Lisanti, futuro presidente di Corte d’Appello, e Francesco Favella, che sarà esponente di spicco (della Resistenza in Emilia Romagna). La guerra mondiale per Muro segna la morte, accanto ed altri soldati, di Enzo Petraccone, uno degli intellettuali più stimati di Benedetto Croce per intelligenza, cultura ed onestà.
Subito dopo le fine della guerra, Pistolese, attaccato da una minoranza di orientamento nazionalistico, capeggiata da Michele Petraccone, si dimette e viene eletto Pasquale Mennonna, il sindaco al di sopra della parti, che, però, deluso dal perdurare delle divisioni, abbandona
la vita amministrativa. A succedergli è il Petraccone.
La nascita e l’avvento del fascismo non presentano particolari connotati.
Già nel 1915 a Muto opera un’Associazione intermandamentale Pro Piccola Proprietà, nazionalistica, contro Pistolese e, quindi, antinittiana che nell’immediato dopoguerra si presenta più agguerrita e, in linea con il Petraccone e l’on. D’Alessio, passa all’adesione al
fascismo, quando questo ha già compiuto i primi passi.
Muro diventa tutta fascista, ad eccezione di qualche fervente nittiano, come Genardo Zitarosa, Pasquale Manna, Francesco Martuscelli, Antonio Lordi, Camillo Scoini, Luigi di Canio, Pasquale Pignatelli e Salvatore Pegliuca, in giovane età socialista e nel dopoguerra presidente della Deputazione Provinciale e quindi deputato al Parlamento per la DC nelle legislature (1948-1953).
Quattro podestà si susseguono o si alternano: Michele Petraccone, Gerardo Galizia, Giuseppe Pagliuca e Giovanni Pagliuca.
Dopo la caduta del fascismo, per il periodo 1943-1946, a reggere l’amministrazione comunale sono, in ordine, i due commissari. eletti dal Comitato provinciale di liberazione, Salvatore Pagliuca e Alberigo Ferrara, divenuti a loro volte anche sindaci di nomina prefettizia.
A seguito delle prime elezioni libere (1946), vince le lista del Blocco Nazionale”, capeggiata dal Petraccone, con la presenza di non pochi nittiani, contro la DC, sorta ad opera di esponenti dell’Azione cattolica e di qualche sacerdote. Degli altri partiti politici, mentre il PSIUP (poi PSI) non trova adesioni se non nel 1958 e il PLI nel 1962, il PCI, e, soprattutto, il MSI (1948), si diffondono sin dai primi anni. Dopo la morte dal Petraccone (1949), uomo amato e stimato anche dagli avversari, la vita politica cittadina è molto travagliata fino al 1962.
Alla gestione del ff. sindaco Gerardo Barbieri segue il sindacato di Giuseppe Zampino, che lascia l’incenico dopo due anni; subentra Matteo Martuscelli, che per anni regge la città, a cavallo di una gestione commissariale di due anni, realizzando, tra l’altro l’organica e qualificate sistemazione di piazza don Minzoni e via Roma.
Dal 1982 al 1978 si susseguono sindaci della DC (Ermenagildo Caputi, Angelomaria Galella, A. Gerardo Barbieri, Luigi De Santis); nel 1978 si ha una Giunta PSI-PCI-PSDI con sindaco Franco Pepe e poi Vincenzo Iasilli, che gestisce la fase del dopo terremoto fino al 1983, quando la DC ed il PSI compongono una Giunta retta da Rosa Lisanti. Successivamente si costituisce una Giunta DC-PSDI-PSI retta da Vincenzo Di Leo.
A seguito del sindacato di Peppino Gugliotta, segue quello di Gerardo Setaro, che pur interrotto da una gestione commissariale, impone un ritmo accelerato alla ricostruzione e alla qualificazione di strutture pubbliche (es. cimitero, strada dal campo sportivo all’ospedale, PEP di S. Biagio, PIP di S. Luca, Centro polivalente di S. Luca); nonché a concretizzare lavori iniziati dalle precedenti gestioni (esempio strada di penetrazione nel Centro Storico, denominata Via S. Gerardo Maiella, bonifica delle Rupi della Raia).

Le opere civili

Il Ponte del Pianello:
Esempio di ingegneria dei trasporti molto ordito per l’epoca di realizzazione. Costruito nel biennio 1916-1918 congiunge il comune con le frazione di Capodigiano. Realizzato in cemento armato misura 76 metri circa, largo 5,20 con un’altezza di circa 100 metri. In basso a sinistra si scorge il Ponte Romano.

Lago Artificiale e Centralina Idroelettrica:
Opere queste che restano il vanto per i Muresi, esempio di ingegneria idraulica molto avanzata per l’epocadi concepimento a di realizzazione delle stesse. Costruiti dal 1914 fino al 1925 si costituiscono di un bacino a monte con una diga alta 43 metri e larga alla base 16,12, può contenere circa 10 milioni di mc, di acqua. A valle la Centralina con due possenti turbine, oggi messe in disuso, sviluppavano l'energia elettrica.

Il nuovo Monumento a San Gerardo Maiella:
Eretto presso l'ospedale di Muro Lucano in C.da San Biagio eseguito dalla scultrice Maria Teresa Dreoni, inaugurato il 1-9-1994.

Monumenti naturali

Le grotte:
A 18 Km. da Muro Lucano, alla sommità dal Bosco Grande a 1100 metri di altitudine, suscitano particolare interesse e attenzione scientifica le grotte dette -I Vucculi-. Esse, dopo i primi sondaggi effettuati da un gruppo di muresi negli anni ‘70 e dopo segnalazione della Pro Loco già nel 1988, ha trovato sensibile eco nell’Azienda di Promozione Turistica di Potenza.
A parere degli specialisti, la grotta de “i Vucculi” è la seconda della Lucania per grandezza e complessità. E’ lunga un chilometro e duecentonovantuno metri; dall’imbocco al punto più basso finora esplorato è profonda centoventi metri. Il punto più basso corrisponde ad un lago-sifone oltre il quale si presume che la grotta continui ancora ad estendersi nelle viscere dalla terra.
La grotta si apre alla base di una escrescenza di massi calcarei che spuntano dal terreno vegetale come se fossero piante: sono il risultato di un fenomeno detto “rovesciamento pedemontano”.
Nell’agosto 1994 venne scoperta una seconda grotta.

In sintesi questi i dati tecnici:

Grotta “i vucculi”
Sviluppo spaziale; 1291 m; profondità: 120 m; quota d’ingresso: 1120 slm; risorgenti nel “Vallone delle lene” a 980 m slm dopo 140 m di dislivello.

Grotta “i vucculi 2”
Sviluppo spaziale: 402 m; profondità: 86 m; quote d’ingrasso 1090 m slm.
Le grotte sono parallele ma non sono unite da nessun passaggio percorribile.

Bosco
Monta Paratiello (1445 m.), compreso nell’Appennino Lucano, è ricco di boschi, in particolare faggete a quote medio-alte, che nel bosco della Montagna Grande culminano con dagli esemplari di grande imponenza. Nel periodo estivo, allorché i faggi sono carichi di fogliame, all’interno delle faggete si crea un’atmosfera del tutto peculiare.
Nei boschi che circondano l’abitato di Muro Lucano non è raro trovare varie specie di tartufo nero ed anche il famoso tartufo bianco d’Alba (Tubar magnatum).

Autore: Testo tratto da -Muro Lucano- Amministrazione Comunale, 1994

 

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